Così nacque la mia Comunicazione naturale ®

Era un pomeriggio di primavera.
Dario mi aveva chiesto di accompagnarlo e di affiancarmi a lui in una consulenza ad una coppia di giovani sposi. Il loro cane Poldo, un setter, non rispondeva al richiamo.
Vivevano fuori Milano. L'appuntamento era presso il capannone sede della loro attività artigianale.
Lì il cane trascorreva la maggior parte della giornata, con loro.
Poldo era dolcissimo (come tutti i setter) e vivace (come  ogni giovane cane).
Dario poneva domande sulle abitudini del cane, sui suoi comportamenti in varie circostanze.
 
Ascoltavo. Mi era stato chiesto di farmi un'idea sulle persone e di agevolare la loro motivazione positiva nel lavoro con il cane.
Erano giovani nell'età e nell'animo. Probabilmente Poldo li viveva come compagni di gioco, più che come adulti di riferimento. Il mio compito non era semplice.
 
Poldo era contento di stare in compagnia: lo esprimeva saltando e scodinzolando. Non si fermava, non si sdraiava mai; questa era un'altra richiesta fatta a Dario: insegnare a Poldo a sdraiarsi e a mettersi tranquillo anche in presenza delle persone.
 
Salimmo in macchina, tutti insieme. Poldo era sempre più eccitato, comprendendo che si andava nei campi a correre. Quando la macchina si fermò, imboccammo una stradina sterrata, che si fece sempre più stretta man mano che ci inoltravamo nei campi.
Poldo era incontenibile. Quando finalmente fu liberato, esplose in corse a perdifiato in ogni direzione: nei  prati, dentro le rogge di irrigazione. La sua gioia era evidente. Il setter era nel suo ambiente naturale: era  tutt'uno con l'erba, l'acqua, la terra.
 
Dario dava istruzioni su come richiamare il cane. Io intervenivo di tanto in tanto per indirizzare meglio l'attenzione dei ragazzi su alcuni punti specifici del lavoro. Fornivo loro motivazioni per impegnarsi e costruire la loro nuova identità di referenti per il cane.
Lavorammo per più di un'ora con le persone. Poi venne il momento di Poldo. Per lui inventammo e creammo una pista olfattiva, una specie di caccia al tesoro costituita da bocconcini stuzzicanti. Spiegammo alle persone a cosa serviva e come ricrearla.
 
Al termine del lavoro di ricerca il cane fu nuovamente liberato.
Anch'io liberai la mia attenzione dal gruppo e alzai gli occhi da terra.
 
Era ormai prossimo il crepuscolo. Cercai il sole e quando lo trovai ne fui ammaliata: era enorme, una enorme sfera arancione, quasi completa. Ho letto da qualche parte che in particolari condizioni atmosferiche il sole o la luna ci appaiono più grandi e più vicini. Sicuramente era uno di quei momenti: la natura sembrava consapevole di una magia.
Tutto era in pace, ogni cosa era al posto giusto.
 
Mi sentivo in pace anch'io, ma allo stesso tempo ero eccitata dalla vicinanza del sole: mi piaceva immaginare che se avessi camminato nella sua direzione sarei entrata in lui e avrei nuotato in quel caldo arancio.
Mi godevo le emozioni e la natura: da quanto? Il sole era diventato una semisfera.
 
Decisi di condividere quel momento magico con le altre persone presenti. "Guardate come è bello il sole! Come è grande!" Tutti e tre si volsero ad occidente: brevi esclamazioni di stupore, qualche secondo di silenzio. Poi ricominciarono a parlare e il sole continuò a scendere dietro l'orizzonte, sino a scomparire. Rimase la luce aranciata, poi, a poco a poco, mentre tornavamo alla macchina, anche la luce seguì il sole e scomparve alla vista.
 
Forse quella notte rivissi gli accadimenti del pomeriggio. Di certo, verso mattina, quando il sonno è leggero e i sogni si tengono per mano con lo stato di veglia, rividi Poldo, i campi, il sole arancio.
 
Mi sembrò che la natura mi comunicasse qualcosa di importante, attraverso le cellule del mio corpo. Era intenso il messaggio, non spiegabile a parole.
Percepivo il rapporto e la fusione tra tutto ciò che esiste e vive, in qualsivoglia forma.
 
Era conoscersi, comprendersi, amarsi. Scoprire cose dell'altro e dirgli di me.
 
L'intensità dell'esperienza era quasi insostenibile.
 
Comparvero due parole: comunicazione naturale. Insieme alle parole un'immagine: un campo di piante di cotone.
 
Lo avevo visto in Egitto: la macchina andava, andava. Le piantagioni non avevano fine, ai lati della strada. Ad un certo punto la macchina si era fermata e l'autista era sceso. Aveva raccolto un rametto e ci aveva mostrato il bioccolo di cotone: bianco, faceva capolino da un baccello aperto.
Era accaduto 15 anni prima, ma nel dormiveglia mi sembrava di avere il rametto tra le mani, come allora.
 
Aprii gli occhi, ancora immersa nell'emozione di essere un tutt'uno con la natura.
Rimasi immobile per un po' a godermi l'emozione, sino a quando sogni e veglia si separarono.
 
Mi vestii e uscii con Bonnie (la mia compagna a quattro zampe), per il giretto consueto. A quei tempi abitavo nei pressi del Politecnico: una zona non centrale della città.
Quasi non credetti ai miei occhi quando vidi, nel baracchino che vendeva fiori all’angolo della via, tre rami della pianta del cotone, ricchi di bioccoli bianchi. Mi rivolsi incredula al venditore.
"Questo è cotone?"
Mi rispose contrariato: "Un tizio me lo ha ordinato, poi non è venuto a ritirarlo. Con quello che mi è costato..."
Uno di quei rami lo acquistai io, appena ripresami dallo stupore.
 
Sogno e realtà erano tutt’uno.
 
Compresi che la coincidenza era eccezionale quanto significativa. 
Ripensai al sogno: comunicazione naturale.
Quelle parole mi appartenevano e avevamo un percorso da fare insieme. Le registrai per garantirmi il loro utilizzo in esclusiva.
 
Così nacque la mia Comunicazione naturale ®



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