MILANO MARITTIMA
venti anni dopo


Agosto. E' sera. Il viaggio non è stato gran che. Problemi con il raffreddamento dell'acqua. Le luci dei negozi si alternano alle ombre. Non riconosco i luoghi. Nessun problema: informatori a portata di mano, letteralmente: due persone sulla riga bianca in centro strada. Abbasso il vetro e chiedo:
"Siamo a Milano Marittima o a Cervia?"
"A Milano Marittima!" risponde il marito un po' stupito. La moglie se ne frega. Ovvio: sono uscita dall'autostrada a Ravenna: Milano Marittima viene prima di Cervia. Il profumo dei pini mi colpisce come uno schiaffo, energico e gradevole. Mi sveglia dal torpore e cancella d'un tratto la stanchezza. La pineta! Già. La pineta. Con le more, le pigne, i pinoli. Il profumo porta indietro il presente di venti anni. O porta avanti di venti anni il passato.

Sono tornata all'albergo di allora. Uscendo: a sinistra si va al mare, a destra verso il centro. Il filo riannodato chiede conferme, rinforzi: mi dirigo all'interno.
Il cinema Arena Mare c'è ancora, al medesimo posto. Però si entra di lato. Il cinema all'aperto! Lasci un attimo lo schermo e trovi l'Orsa Maggiore. Oppure è la luna a chiamarti. Bianca, opalescente. Lassù.
Profumerie, oreficerie. Abbigliamento. Borse, scarpe - la collezione autunnale: che schifo! eppure so già che finirò col comprarmene un paio anch'io. Saldi.
Gli Scuba e i Chrono Swatch: su un foglietto di carta è scritto L.350.000 - il 3 corregge un 2. Si scrive ciò che a Milano solo si dice: sarà legale?
Tabaccherie. Banche. Gelaterie: per tutti i gusti: grandi, piccole, medie, una con piscina. Un pub. Pizzerie. Erboristerie. Sale giochi. Tappeti.
Un malandrino riceve un sacco di bastonate da un gendarme baffuto. Burattini di legno. Al di là di una vetrina. "Burattini in carne ed ossa: di qua, per voi, è così?". Non ottengo risposta.
In una via laterale, un po' discosto, discreto, il supermarket impone: "Lasciate le borse grandi all'ingresso."

Il Paradiso del Consumismo.

Alcuni negozi li riconosco. Altri no. Molti sono decisamente nuovi. Sembra di essere a Milano. Qualcosa non va. Che cosa? porto il vago disagio che ho dentro al di là della Rotonda I Maggio. Il clima è subito diverso. Un'edicola di giornali. Un venditore di piadina. Respiro meglio. Il viale è alberato da pini. Alberghi. Qualcuno "con piscina". Non ne vedo, di piscine. Che siano sui terrazzi di copertura, cioè sui tetti? Il bazar! Ecco, cosa cercava la mia parte bambina! Certo! Come non essermene accorta prima! Hanno tolto dal centro tutti i bazar! Vorrei abbracciarlo, quel coccodrillone verde gonfiato. I secchielli, le palette! I cappellini di tela! Gli zoccoli di legno sono stati sostituiti dalle ciabatte di plastica, e non vedo formine. Mi accontento, però. Sono felice. Lacrime di commozione si affacciano, ma tornano indietro: una specie di bilancia ti dice chi sei a seconda dei colori che preferisci o che non ti piacciono. Provo subito. Si mangia le 500 lire e non succede niente. Entro e lo dico al tizio del bazar. "Mi scusi, signora. Non ho ancora inserito la spina. Vengo subito." Sono le 11,30, al mare. La gente è in spiaggia, a prendere il sole o a fare bagni. Ci saranno le alghe?

Sì, le alghe ci sono. Verdi, in gran maggioranza. Dunque fresche. Qualcuna marrone, dunque vecchia. L'acqua è gradevole, fresco rifugio dal sole cocente. Ed è una evasione dalla gente: pance che stravincono con quattro o cinque pliche di vantaggio sulla cintola dei costumi-parte-bassa di uomini e donne indifferentemente. Cellulite, vene varicose, qua e là pelle cadente. Non tutte le persone sono così, ma tante - troppe - sì. Mi deprimo. "Anch'io sarò un giorno così? O forse già sono?" Corale "memento mori" della bellezza corporea.
"Guarda quante ondine vengono a riva... Con tutte le navi e le barche e i motoscafi che ci sono nel mare... Anche se sono al largo, poi vengono a riva..." Mi volto a guardare: forse stanno scherzando con un bambino. "Sì, lo sapevo anch'io..." Risponde un maturo signore, come l'altro sui sessant'anni. E non stanno per niente scherzando!

La pineta è bellissima. Silenzio. Uccelli che cantano. Farfalle. L'aria trasparente lascia filtrare i raggi del sole dai pini. La luce è profumo. Lo sento scorrere nel sangue. Mi è penetrato dentro attraverso i pori, gli occhi, i polmoni. Una vespa. Le rotaie del trenino. I vagoncini si riempiranno di bambini, di grida gioiose e di pianti disperati - finito il giro. Nel pomeriggio. Qualcuno passa in bicicletta, qualcuno fa il footing. Sono stupita di questa possibilità di starmene sola, così, in pace, il sabato mattina, d'agosto, al mare. Eppure è vero.
La pineta.
Con le more, le pigne, i pinoli... Mi sembra ancora più magica di allora. Venivo con la mamma. Riempivo di frutti neri il secchiello - troppe more in una volta fanno venire il male di pancia - e le portavo in pensione. La pensione Villa Azzurra. Con le altalene - quelle vere: assicelle di vero legno e corde di vera corda. Mi spingevo con le gambe, su - giù, e salivo, in alto, sempre più in alto, sino a toccare i pini. Se non ci fossero stati quelli a fermarmi, avrei potuto toccare il cielo.
Un bambino sui dieci anni del genere antipatico-anziché-no con i nonni. Lo lascio andare oltre. Uno spiazzo. Ideale per sedermi a leggere: ho due quotidiani e un libro. Stupendo. Di Bijorn Kustén: "La danza della tigre". Un fruscio all'improvviso mi distoglie dalla lettura. Come un animale selvatico scruto i cespugli. Intravedo un uomo. Pronta a fuggire seguo attenta ogni sua mossa. Mi lancia un'occhiata, mi volta la schiena e... Noo! Un sedere bianco, molliccio, lardoso non più celato nei pantaloni, diviene all'istante il patetico protagonista della tragicomica farsa. Uno scatto: sono in piedi, mi volto per andare. Ho più rabbia che paura. "Mi scusi, non l'avevo vista! Mi scusi tanto!" Si riveste e se ne va. Tento di recuperare la lettura. Non sono nemmeno due pagine in là che torna. Sulla strada principale, questa volta. "Non so come scusarmi! Mi vergogno tanto! Sono le bibite fredde... Ne bevo tante... Non avrebbe un po' di carta? Mi vergogno tanto! Mi scusi..." Il mio schifo si trasforma in odio e lo raggiunge. Si volta e scompare. Definitivamente.
L'incanto è rotto. Irrimediabilmente ormai. La pineta non ha più solo profumi, ma anche puzze: emanate dalle cacche degli incivili. Sulle cacche le mosche. Schifose. Le une - le mosche - meno delle altre. Non ho voglia di tornare in mezzo alla confusione, alla gente. Tento con il pane alle tortore: volano via. La vespa mi ronza attorno noiosa. I rovi mi graffiano le gambe, quando mi tendo in avanti per cogliere le more mature, più in alto. E non ho un secchiello per portarle in albergo. Una piuma: di fagiano. L'avrei raccolta, un tempo, per portarmela a casa. Rimani, piuma. Con le pigne e i pinoli. Io verrò a te col pensiero. A Natale, forse. Quando sarai sotto la neve. A dormire. A marcire. A divenire. O forse verrò prima... O più tardi... Chissà.

Si snoda grigio il nastro che mi riporta a Milano. Il tramonto è rosso, i raggi sembrano uscire dal fuoco. Come Dio Padre nel Catechismo di quando ero bambina. E' lontana la Romagna. Forse in un altro pianeta. Eppure, ancora poche ore fa ero in spiaggia. La spiaggia di Milano Marittima venti anni dopo. Il venditore di canditi e frutta caramellata - duemila lire il bastoncino. Sul bagnasciuga i pedalò al posto dei mosconi a remi, e i senegalesi che espongono su pezze di tela la loro merce: collanine, Rolex d'oro, elefanti. Guardo il bianco dei loro occhi, per me inespressivi. Dove dormono la notte? Si chiederanno mai "La prossima volta toccherà a me?" di essere bruciato vivo. Un brivido mi percorre la schiena.
Le onde si inseguono. Si susseguono. Sulla battigia.

Una paletta rosa. Un secchiello celeste. Un amico con cui costruire il castello. Il bambino dai riccioli d'oro conduce per mano la bimba. Insieme raggiungono il mare. Il castello acquista volume. L'acqua circola nel fossato. Dalle dita scende sabbia bagnata. Dai torrioni si innalzano pinnacoli. Fantasiose, fantastiche: le mura decorate con conchiglie. Persi nel gioco, gli adulti dimenticano l'ufficio e la casa di città. Ritrovati nel gioco, i bambini ridono, spensierati. Principi e re di fiabe da inventare. "Cocco fresco! Coccoo! Vitamine!" Ogni cosa è al suo posto. Ora che il bambino interiore è felice.
E le onde si rincorrono. Spumeggianti. Vitali.

(1997)



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