Storia di Natale

Vienimi accanto, Lucia. Abbandonati fra le mie braccia: i tuoi riccioli scuri sul mio seno di madre. Natale: il cielo ricolmo di stelle. La cometa, nel buio, splende per noi: per noi sole, mio cuore. Brilla, la fiamma, alta, nel camino. Ascolta.

Ti dirò di una donna: mai stata bambina. E' la storia di Andrea. Non sorridere al nome. La mamma era morta mettendola al mondo, e il padre, boscaiolo dei monti, non conosceva la grammatica. Aveva visto in chiesa la statua di un santo: gli occhi tristi, la bianca barba: aveva nome Nicola. E accanto a lui la statua di Andrea: sereno, come un mattino di primavera. Così aveva chiamato la bimba, perchè fosse come un fiore che sboccia nel sole tenero di aprile.

La vita era dura, nella capanna in cima al monte. Andrea doveva aiutare il padre, e occuparsi della casa, come una donnina. Non c'erano bambini con cui giocare. Suoi compagni erano gli scoiattolini del bosco; una faina veniva a trovarla, di tanto in tanto, e le portava qualche uovo rubato nei pollai, laggiù in paese. Gli uccelli cantavano per lei mentre lavava i panni al ruscello; talvolta un cerbiatto si fermava al limitare del sentiero: la osservava con i grandi occhi tondi, continuando a masticare l'erba. La notte, lontano, i lupi ululavano, ma Andrea non aveva paura, perché sapeva che quello era il loro richiamo alla luna, e li considerava amici.

Gli anni scorrevano, alla capanna in cima al monte. Estati seguivano inverni. L'uomo si era fatto curvo, lento di passo; l'accetta pesava, sulle sue spalle. Aveva sedici anni, Andrea. I capelli raccolti in una lunga treccia, la carnagione chiara del viso appena segnata da efelidi. Sembrava una distesa di neve, su cui spiccavano gli occhi: verdi, come due laghi alpini. Profondi, rispecchiavano gli abeti, scuri, della foresta.

I ragazzi, al paese, l'avevano canzonata sempre a causa di quel nome da maschio. Ora che si era fatta grande, i giovanotti la guardavano con interesse: non badavano più al suo nome, ma ai capelli color della fiamma, e ai piccoli seni che si intuivano sotto la bianca camicia. Le donne non si erano accorte che Andrea era cresciuta, abituate a trattarla come una di loro sin da quando, bambina, scendeva di giovedì a vendere il burro. Lo produceva lei stessa, alla capanna. Le ragazze ridevano del suo candore. Dentro, però, invidiavano il misterioso fascino che da lei emanava, e che poi, negli altri, si trasformava in turbamento, o emozione. Erano gelose. Nessuna volle esserle amica.

C'era un uomo, in paese, che Andrea non riusciva a comprendere. Prima di avviarsi giù per il sentiero, il giovedì mattina, cercava il fiore più bello e profumato, e se lo metteva tra i capelli: sperando di incontrare quell'uomo, e di donargli quel fiore. Lo cercava, lo trovava. Lui le parlava, le sorrideva, ma il fiore non le chiedeva. Andrea, il giovedì successivo, ne cercava uno ancora più bello, più profumato. L'uomo parlava, sorrideva. Mai chiedeva.
Il padre la sentiva piangere, talvolta, la notte. Un pianto sommesso: di infelicità d'amore. Ripensava alla moglie, che aveva conosciuta ragazza, suppergiù dell'età che ora aveva la figlia. Gli era piaciuta subito la sua allegria: quel riso argentino sembrava ancora rimbalzare tra le gole dei monti. Erano stati felici. Poi, nel momento culminante della loro ebbrezza, Dio se l'era presa. Non gli era rimasto che il pianto. Un pianto disperato. Aveva fatto del suo meglio per crescere la loro creatura, ma si sa, ci sono cose che un uomo non conosce, vie che solo una donna può percorrere. Adesso si sentiva impacciato davanti a questo sentimento di Andrea. Come quando, quel giorno, l'aveva vista trasformarsi in donna e per la prima volta, il padre, era venuto a contatto con la corporea femminilità della figlia. L'aveva stretta: in silenzio, non sapendo che dire.

L'uomo del paese era generoso. Nessun viandante aveva bussato invano alla sua porta: pane e formaggio erano stati donati in abbondanza, sempre accompagnati da una ciotola di latte fresco, o di acqua sorgiva. Non vi era falegname o capomastro che non si fosse rivolto a lui per consiglio o per aiuto, né contadino che almeno una volta non fosse ricorso alle sue braccia per la semina o il raccolto. E poiché di tutto aveva fatto in quegli anni, non avresti saputo dire se fosse falegname, o capomastro, o contadino. O chissà che.
Non c'era uno che gli chiedesse di lui, tutti gli raccontavano di sé. E così Andrea si accorse che ben poco si sapeva dell'uomo. E si accorse anche che nessuno era mai entrato nella sua casa, perché sempre lui era andato dagli altri. Quella casa la immaginava grande, a volte; a volte invece di una sola stanza. Invasa di luce, o al buio, con una finestrella in cima. Per guardare le stelle.

Venne Natale. Le donne preparavano il ripieno per il tacchino che avrebbero ucciso tra breve, e dolci da lasciar "riposare" sino alla sera della vigilia. I bimbi erano impazienti di ricevere i doni: un cavalluccio di legno, una bambola di pezza, il primo coltello, un cappello con la piuma. Andrea era stata al villaggio, come ogni giovedì, e ora se ne tornava a casa, su per il sentiero; la salita era erta, ma non le costava fatica. Pensava a lui, il suo uomo. Si chiedeva se il tono della sua voce si era fatto davvero più basso, e più dolce. Se dietro le sue parole, pressappoco quelle di sempre, vi era stata davvero una gioia appena celata, un desiderio di donarle qualcosa.
Il fiore, come ogni sera di giovedì, l'aveva ancora tra i capelli. Levò gli occhi al cielo, quasi a cercarvi un che di familiare, a consolazione della sua malinconia.

Fu allora che vide la cometa: si accendeva e spegneva, si avvicinava e allontanava. Sembrava chiamarla. Andrea pensò alla madre, che non aveva mai potuto carezzare: la chioma della cometa divenne i capelli della madre, nel velo delle lacrime, e la luce intermittente divenne la voce di lei che la chiamava da lassù, e le diceva di seguirla.
Quando la cometa sparì, dietro il tetto di una casa, Andrea si trovò senza saperlo davanti alla porta dell'uomo. Il villaggio dormiva: tutte le luci erano spente e solo qua e là un cane ululava alla luna, come i fratelli lupi. Era stupita, forse un po' spaventata; pensò che doveva andarsene. In quell'istante lui apparve sulla soglia: in silenzio la invitò ad entrare. La stanza era calda, non vasta, illuminata dal fuoco di un grande camino e da una lampada appesa in un canto. Le finestre erano chiuse da imposte, così che erano loro due nella casa, e il resto del mondo fuori.

Alla luce della fiamma Andrea vide una bimba giocare: con i capelli rossi, come i suoi, e quando alzò gli occhi, questi erano verdi, come i suoi. Aveva una bambola: da vestire, pettinare, cui lavare le manine. Giocarono insieme. Intensa l'emozione dei cuori. Ricordò ad un tratto il suo uomo: l'aveva dimenticato: temeva l'avesse lasciata. L'uomo era lì, accanto.
Ora che aveva giocato, il segreto le avrebbe svelato. La voce era dolce, un po' bassa. Negli occhi una pace serena.
Sopra la tavola, in centro, un vaso di chiaro cristallo. Dentro, ancor non credeva, i fiori che aveva donato. “Col cuore, Andrea, con il cuore. Da tempo, sai, ti attendevo, ma tu non trovavi la via." Mischiati ai fiori di lei, c'erano i fiori dell'uomo: colori mai visti nei prati, profumi ignoti a una donna.

Venne Natale quell’anno. E ancora ancora ancora…

La notte di Santa Lucia. Si vide cadere una stella. Andrea comprese: era il padre. Lui le diceva il suo "Addio": andava a cercare la madre. Lassù, lontano, nei cieli. Le prese la mano il suo uomo, e chiuse la porta alle spalle. Insieme creavano fiori: i fiori d'amore, Lucia. La vita segreta dei cuori.

Dormi, mio amore. E' Natale. La fiamma risplende per noi. Ti stringo al mio seno di madre, e bacio i tuoi riccioli scuri. Vi semino viole odorose. Sogna, Lucia: della donna. E sogna anche dell'uomo. Da loro sei nata, mio fiore, mio piccolo grande tesoro.


II° premio ‘Città di Milano’
Radio Meneghina
sezione prosa: secondo classificato
7 novembre 1987



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